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L’abbraccio empatico nella relazione terapeuta-paziente

Il libro di Grossman “L’abbraccio” ci aiuta a rappresentare il concetto di empatia e a descrivere gli aspetti emotivi della relazione madre – bambino e la tardiva assunzione della funzione di holding materno nel rapporto psicoterapeuta – paziente, in una psicoterapia orientata in senso adleriano.

“L’abbraccio” è un breve racconto per bambini in cui l’autore narra il dialogo tra un bambino e una madre. Ben il piccolo protagonista del romanzo, osservando la natura, scopre l’unicità di ciascuno che vive con sgomento, che lo fa sentire solo, piccolo, limitato, bisognoso. Egli quindi si cimenta con un naturale e fisiologico sentimento di inferiorità. Si tratta di un’esperienza che il bambino sembra proprio non accettare: troppo forte è la paura dell’isolamento e dell’abbandono. A lenire quel dolore è la risposta della madre, rassicurante, empatica, incoraggiante: “tu sei unico e anch’io sono unica, ma se ti abbraccio non sei più solo e nemmeno io sono più sola”, grazie all’abbraccio siamo un po’ soli e un po’ insieme agli altri “un po’ così e un po’ cosà…”, “proprio per questo hanno inventato l’abbraccio”.

L’esperienza empatica, così ben descritta nel romanzo di Grossman, è alla base di ogni autentica relazione umana fin dalla nascita. Come afferma Alfred Adler il bambino, in quanto debole alla nascita, ha un primario bisogno di tenerezza, di essere contenuto, compreso empaticamente dalla madre. E’ la soddisfazione di questo bisogno che gli consente di sviluppare un sentimento di coraggio e fiducia, di indirizzare la compensazione del fisiologico sentimento di inferiorità in senso sociale. Ogni essere umano ha un naturale bisogno di sicurezza che alimenta la sua volontà di potenza ed è grazie al rapporto con la madre che questo tratto può collegarsi all’ambiente prendendo la strada della collaborazione e della cooperazione con gli altri esseri umani.

Nella psicoterapia adleriana, il terapeuta si serve dell’empatia come strumento per entrare in relazione intima e profonda con il paziente e assumere tardivamente la funzione di holding materno: vedere con i suoi occhi, ascoltare con le sue orecchie, sentire con il suo cuore, è una parte insostituibile del lavoro terapeutico. Anche il paziente, come il bambino del romanzo di Grossman, quando si affaccia alla terapia è concentrato sul suo dolore che lo fa sentire diverso, solo e limitato. Lo psicoterapeuta adleriano, come la madre di Ben, non rinnega l’unicità del dolore della persona che ha di fronte ma si mette in contatto con quel dolore attraverso le proprie ferite: vibra al vibrare delle corde dell’altro nella melodia del colloquio terapeutico. In questo modo la relazione psicoterapeuta – paziente diviene uno strumento trasformativo e il paziente fa esperienza di come le ferite e il dolore si possano trasformare in elementi di forza, in spinte vitali e propulsive se indirizzati in senso sociale.

L’empatia, in una psicoterapia adleriana, è un abbraccio, una stretta al petto che lenisce le ferite dell’anima e indica all’individuo la via per la felicità. Questa esperienza di intimo coinvolgimento emotivo, sottolinea e rafforza la reciproca identità, autonomia e libertà dei membri della coppia terapeutica, ma apre ad un’esperienza intersoggettiva, ad una dimensione comunitaria mostrando all’individuo la strada del sentimento sociale.