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Imparare a tacere

Vi propongo di fare il contrario di quello che fanno tutti, cioè di sospendere la parola e di non arrogarvi il diritto di parlare per gustare le virtù del saper stare in silenzio, sperimentandolo.

Nella nostra società della comunicazione abbiamo coltivato la parola: comunichiamo costantemente, spesso senza sosta, attraverso messaggi, vocali, post, podcast, riunioni. In questa sovrabbondanza di parole, però, rischiamo di dimenticare che il silenzio non è assenza, ma presenza diversa. Non è vuoto, ma spazio. Non è passività, ma gesto intenzionale.

Il silenzio come atto consapevole

Non è raro che il silenzio venga frainteso, come se fosse un segno di debolezza, di passività di sottomissione. Ma tacere non significa reprimere, bensì scegliere. Scegliere di non parlare in un determinato momento, per dare valore a ciò che si prova, per rispettare l’altro, per evitare di dire parole dettate dall’impulso.

Nella psicoterapia, come nella vita quotidiana, saper stare in silenzio è un atto relazionale. Un gesto di cura che permette all’altro di avere spazio, tempo, respiro. È anche un modo per proteggere se stessi da reazioni che rischiano di fare danni.

Insieme, ma non davvero vicini

Nella nostra società siamo spesso uno accanto all’altro, ma non così spesso davvero insieme. Condividiamo lo stesso spazio fisico, ma non sempre c’è un contatto reale, emotivo, intimo.

Un paziente, durante una seduta, mi ha raccontato una cena con i suoi genitori: “mio padre guardava il cellulare e chattava, mia madre parlava senza mai fermarsi… io ero lì, ma nessuno mi vedeva”.

Questa immagine quotidiana, semplice eppure potente, rivela una verità profonda: non c’è ascolto, non c’è empatia, non c’è incontro se non si riesce a fare silenzio. Vale perciò la pena di tacere per ascoltare e condividere. Inoltre, il farlo ci protegge dall’illusione di vivere con gli altri, essendo in realtà da soli, bloccati nella nostra prigione mentale.

Ma perché è difficile tacere?

Spesso, la difficoltà a stare in silenzio non ha a che fare con la parola in sé, ma con ciò che ci muove dentro. Non tacere è, a volte, una difesa. Altre volte, una reazione impulsiva o un bisogno di visibilità.

Vediamo insieme alcune delle motivazioni più comuni:

  • Perché siamo sopraffatti dalle emozioni: rabbia, frustrazione, ansia o paura possono travolgerci e spingerci a parlare impulsivamente. I quei momenti, il silenzio richiederebbe una capacità di autocontrollo che spesso non abbiamo la forza di attivare.
  • Perché la nostra mente ci racconta delle storie: interpretiamo i silenzi altrui, immaginiamo giudizi, rifiuti, disinteresse. E così ci affrettiamo a colmare i vuoti con spiegazioni, chiarimenti, giustificazioni, nel tentativo di controllare la narrazione.
  • Per un atteggiamento narcisistico o egocentrico: quando sentiamo di dover essere al centro dell’attenzione, tacere diventa insopportabile. Parlare ci fa sentire visti, considerati, rilevanti.
  • Per orgoglio: spesso non tacciamo perché vogliamo avere “l’ultima parola”, o dimostrare di avere ragione. In questi casi, la parola diventa una forma di potere, mentre il silenzio appare come una sconfitta.
  • Per farci belli, per lusingare: a volte parliamo troppo per compiacere, per sedurre, per conquistare l’approvazione dell’altro. Il silenzio, invece, presuppone il coraggio di rimanere autentici e non sempre “graditi”.
  • Perché siamo immersi in una cultura del giudizio e della critica costante, amplificata dai social: viviamo in un’epoca in cui esprimere opinioni su tutto e tutti è diventata la norma. L’anonimato e la distanza protetta dello schermo favoriscono una comunicazione disinibita, rapida, spesso aggressiva. Il silenzio in questo contesto è quasi sospetto: chi tace sembra omettere, nascondere, non schierarsi. E allora parliamo, commentiamo, giudichiamo. Nei social network, la parola si trasforma facilmente in pietra e la critica in lapidazione verbale. A volte ci si accoda per sentirsi parte di qualcosa, altre volte per scaricare la propria rabbia. Tacere, invece, significherebbe assumersi la responsabilità di non partecipare a questa dinamica distruttiva e, per molti, è troppo scomodo.

Il silenzio come spazio emotivo e relazionale

Il silenzio non è solo assenza di parole. È uno spazio interiore che ci permette di collegarci intimamente con ciò che proviamo.

Nella relazione con l’altro, il silenzio è un gesto di ascolto profondo. È ciò che permette all’altro di esistere nella sua complessità, senza invadenza né fretta.

Nelle relazioni autentiche, saper tacere insieme è una forma di intimità. È lì che nasce l’empatia: nello spazio lasciato libero dall’ego, dalla fretta, dal bisogno di avere ragione.

Allenarsi al silenzio

Saper tacere è una competenza che si può coltivare. Abbiamo bisogno di tempo, di forza, ma anche di provare il desiderio di sentire e abbracciare le nostre e altrui emozioni. Richiede di conoscersi e di conoscere l’altro. Alcuni piccoli passi per cominciare:

  • Ascoltare davvero, senza pensare subito a cosa rispondere
  • Tollerare il vuoto, senza affrettarsi a riempirlo
  • Accogliere le emozioni che emergono nel silenzio, senza giudicarle
  • Chiedersi perché si vuole parlare, prima di farlo: è utile? Necessario? Costruttivo?

In conclusione

Mai come oggi è facile comunicare e dare voce ai nostri pensieri attraverso l’uso delle parole. Eppure, in questo vortice di messaggi istantanei, post e opinioni condivise a ritmo incalzante, rischiamo di dimenticare il valore del silenzio. La velocità con cui esprimiamo emozioni, giudizi e reazioni ci espone al rischio di parole impulsive, spesso aggressive, che si confondono con quelle più autentiche e ponderate.

Tacere, invece, non è assenza di comunicazione, ma un atto di consapevolezza. È la scelta di fermarsi, ascoltare, entrare in contatto con le nostre emozioni e dare alle parole il tempo di maturare dentro di noi prima di essere espresse. Significa scegliere con cura ciò che diciamo, affinché le nostre parole siano realmente in grado di costruire e non solo di riempire un vuoto.

Saper tacere è una forza silenziosa, è maturità, libertà. È il segno di una persona che sa ascoltare prima di parlare, che agisce in piena coscienza e che sa che, a volte, non usare le parole è il modo più autentico di comunicare.

In un mondo che urla, scegliere di non parlare può essere un atto rivoluzionario.

 

Bibliografia: J.C. Seznec, L. Carouana (2020); La magica virtù di misurare le parole. Quando tacere, come parlare; Ed. Feltrinelli.