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Dare un senso alla propria sofferenza

Un’immagine che mi viene in mente pensando al processo di accettazione di una malattia cronica è la foto di copertina del libro di Viktor Frankl “L’uomo in cerca di senso” che ritrae una luce in fondo a un lungo tunnel scuro. Questo libro mi è stato proposto da un paziente affetto da Sclerosi Multipla, in una fase importante del suo percorso terapeutico. Parlo di processo di accettazione per sottolineare che non si tratta di un punto di arrivo ma di un percorso in divenire in cui la possibilità di intravedere una strada non annulla il dolore per le proprie limitazioni ma fornisce la motivazione e la forza per continuare  il proprio cammino di vita.

Una malattia cronica irrompe nel percorso di vita di una persona come una crisi che costringe ad una revisione della propria identità e progettazione di vita. Si crea una vera e propria frattura tra un prima e un dopo. Molte fasi si susseguono prima di riuscire, quando ciò è possibile, a viversi non solo, per sottrazione, come persona malata e invalida ma a integrare in sé l’esperienza della malattia dando vita a un nuovo modo originale di rapportarsi al mondo.

Nel percorso terapeutico con Marco abbiamo attraversato molte fasi del percorso di elaborazione e accettazione della malattia e, in seguito ad alcuni eventi di vita occorsi, ci siamo imbattuti anche in periodi di scoraggiamento e depressione. In questi momenti, Marco si presentava come una persona fusa con la sua malattia, sconfitta e annullata da essa: più volte per descriversi usava l’espressione “dead man walking” (uomo morto che cammina) ad indicare che si sentiva come una persona priva di speranza e di futuro.

Quando un paziente affetto da una malattia cronica antepone nella sua percezione di sé la malattia alla totalità della sua persona, trasporta il terapeuta in un tunnel buio dove non trapela alcun raggio di luce, un tunnel di impotenza e scoraggiamento. Compito  dello psicoterapeuta è di attingere alla propria esperienza di perdita per calarsi insieme al paziente nel buio del suo tunnel e condividere il suo dolore, ma anche continuare a mantenere una visione dall’alto per intravedere la luce, la speranza, la possibilità. Il terapeuta deve empatizzare con il dolore ma saper distogliere lo sguardo su cui è focalizzato il paziente e continuare a vedere la persona al di là della malattia, con le sue risorse, la sua possibilità di spendersi nella vita, la sua responsabilità nei confronti del mondo.

Quest’azione di rispecchiamento aiuta a non restare imbrigliati in un’identità di malato bisognoso di aiuto e a vedere nuovamente la luce al di là del tunnel, ricostruendo creativamente un’immagine di sé come persona che ha soprattutto da dare.

Nella relazione con Marco questa luce si è presentificata simbolicamente in una seduta grazie al libro di Viktor Frankl.

Frankl è uno psichiatra che ha vissuto l’esperienza dei campi di concentramento nazisti e ha tratto da questa esperienza l’idea che, in ogni condizione limite (la sofferenza, la malattia, la disabilità, il lutto…) la vita vale la pena di essere vissuta e l’essere umano ha la possibilità di mutare una tragedia personale in un successo nel momento in cui è capace di darsi un significato, di attribuire un senso alla propria vita. Ciò che Frankl mette a fuoco è l’incredibile capacità di resilienza umana che prorio nelle condizioni di vita più difficili permette alle persone, pur non potendo mutare il proprio destino, di dominarlo dall’interno.

L’insegnamento di Frankl è che di fronte alla malattia si può assumere un atteggiamento sconfitto e mortifero oppure si può ritrovare una motivazione che permetta di vivere e non subire le difficoltà, dando un nuovo significato alla propria esistenza. Dagli abissi della sofferenza emerge dunque l’intuizione che la libertà interiore e la responsabilità sono l’intimo baluardo della dignità umana contro la spersonalizzazione e la rassegnazione.

Tornando al percorso terapeutico con il mio paziente, per Marco parlare del libro di Frankl ha rappresentato un momento di grande insight (illuminazione). Egli riconoscendo creativamente la possibilità di dare un nuovo significato esistenziale alla propria vita si è spostato da una dimensione  depressiva e scoraggiata a una posizione di ritrovato coraggio, di rinnovata voglia di vivere e di partecipare.

Accettare una malattia cronica significa, per chi ne è affetto, innescare un processo creativo di ricostruzione della propria identità che, tenendo conto in modo realistico dei propri limiti e delle proprie potenzialità, permetta di scorgere un nuovo significato della propria esistenza.

Per accettare una malattia cronica bisogna accogliere, non senza dolore, i propri limiti, andare oltre la percezione di sé come persona malata e ricominciare a viversi proattivamente come una persona, affetta da una malattia, con proprie risorse e potenzialità da spendere in senso sociale.