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Dismorfofobia

“Quando si ama una donna non si comincia sicuramente a misurarle gli arti”

Pablo Picasso

È naturale e importante prendersi cura del proprio aspetto fisico, fare degli sforzi per piacersi ed essere attraenti. Tutti noi, inoltre, possiamo essere infastiditi da certi difetti e, in alcuni momenti, possiamo passare davanti allo specchio e non vederci belli.

Ma allora quand’è che tutto questo diventa un’ossessione? Quando l’attenzione per i propri difetti, la paura di essere brutti, il tentativo di porvi rimedio diviene patologico e possiamo parlare di dismorfofobia?

Che cos’è la dismorfofobia?

La dismorfofobia, chiamata anche bruttezza immaginaria, è un vero e proprio disagio psicologico caratterizzato dalla preoccupazione per un difetto immaginario o minimo dell’aspetto fisico così intensa e duratura da indurre nell’individuo un forte malessere e condizionargli la vita. Dietro a questa ricerca della bella apparenza, si cela una distorsione dell’immagine di sé e il tentativo di raggiungere un’immagine ideale.

Le alterazioni dell’immagine corporea sono tipiche dell’adolescenza e in genere rientrano spontaneamente in età adulta, quando la persona acquista una sufficiente fiducia in sé. In alcuni casi però ciò non avviene e la fissazione su uno o più difetti fisici diventa il nucleo di tutta la vita. Sono questi i casi di dismorfofobia.

Le parti del corpo che più frequentemente sono oggetto di rifiuto sono la pelle (colorito, rughe, acne, macchie o altre imperfezioni cutanee), il volto (forma, dimensioni, naso, occhi, mento, labbra, guance, zigomi, denti, orecchie, viso nel complesso) e i capelli. Tuttavia, ogni parte del corpo può essere coinvolta: petto, addome, cosce, natiche, genitali.

Tutti i dismorfofobici si vergognano molto per il presunto difetto fisico come conseguenza di un ideale astratto rispetto al quale si sentono sempre in difetto.

Come si manifesta

Esiste una grande variabilità di quadri dovuta al fatto che la dismorfofobia non è una malattia a sé stante ma un sintomo che può presentarsi associato a malattie diverse, di maggiore o minore entità. Le idee negative legate al proprio aspetto possono quindi, a seconda dei casi, presentarsi come una preoccupazione, un’ossessione, fino a un vero e proprio delirio.

Premesso ciò, proviamo ad elencare alcune manifestazioni comportamentali tipiche della dismorfofobia:

  • Una preoccupazione eccessiva o un pensiero ossessivo relativo a un difetto fisico.
  • Passare molto tempo a guardarsi allo specchio e a scrutare questo difetto o al contrario evitare gli specchi e ogni superficie che riflette la propria immagine.
  • Nascondere la parte del corpo che presenta il difetto: portare guanti, sciarpe, occhiali da sole.
  • Ricorrere a molti trattamenti e interventi di chirurgia estetica senza sentirsi mai soddisfatti.
  • Curare in modo eccessivo il proprio aspetto: esercizio fisico esagerato, diete troppo restrittive, lavarsi ripetutamente, costante manipolazione della pelle.
  • Continuo confronto con l’aspetto fisico altrui.
  • Compromissione della vita sociale e affettiva che può arrivare fino all’evitamento di qualsiasi interazione vis à vis.

 

Come si sviluppa la malattia

La dismorfofobia non è influenzata dall’avere un aspetto fisico poco attraente, anzi, questo sembra essere un fattore assolutamente secondario. Rilevanti appaiono invece peculiari modalità di relazione all’interno delle famiglie ed esperienze infantili tendenti a produrre nell’individuo insicurezza, la sensazione di non essere amato, di essere rifiutato.

Nel V secolo a. C. Erodoto di Alicarnasso ci parla di dismorfia attraverso il mito di una bambina bruttissima nata nella città di Sparta. I genitori della bambina, molto preoccupati per il suo aspetto, l’avevano affidata a una nutrice che ogni giorno la portava in visita al tempio della bella Elena pregando di guarirla dalla deformità. Un giorno, una donna apparve davanti al tempio e chiese alla balia che cosa avesse tra le braccia. La balia disse che portava una neonata e la donna la invitò a mostrargliela. Ma quella non voleva perché le era stato proibito dai genitori di mostrare la bimba a chiunque. La donna però insisteva e alla fine la nutrice gliela mostrò. Allora la donna accarezzò la testa della bambina e disse che sarebbe diventata la più bella di tutte le donne di Sparta. Da quel giorno l’aspetto della bambina cominciò a mutare finché, divenuta ragazza, era così bella che fece innamorare il re Aristone che la volle in sposa.

Quello che ci colpisce in questo mito è che la bambina diventa bella quando viene fatta vedere, o meglio viene “vista” e non semplicemente guardata da qualcuno. È suggestivo legare la possibilità di essere belli e di piacersi, come in questo racconto, al fatto di essere finalmente visti e guardati con affetto e non più “non visti”, cioè non considerati, ovvero annullati, come sembrava avvenire per la bambina che prima veniva nascosta. La storia, quindi, allude all’interazione che c’è tra lo sguardo delle persone circostanti e come la persona vede sé stessa. Questa interazione è fondamentale soprattutto nei primi anni di vita per la costruzione di un’immagine interna positiva di sé.

Il bambino che venga accudito, per quanto scrupolosamente, solo nei suoi bisogni fisici, subisce una delusione perché non ha bisogno solo di cure materiali ma ha anche, contemporaneamente, sempre esigenze affettive. Se le interazioni deludenti e insufficienti si ripetono molte volte la delusione, i vuoti e la rabbia provati portano a una lesione dell’immagine interna di sé. Tale lesione si manifesterà come visione di un volto brutto, leso, sfregiato.

La convinzione di essere brutto del dismorfofobico corrisponde quindi a un’incapacità di amarsi, a un sentirsi brutto dentro. Egli oscilla continuamente tra due atteggiamenti: guardarsi con odio e rabbia, vedersi brutto e guardarsi con freddezza cercando di scorgere quale dettaglio vada corretto per corrispondere all’ideale di bellezza che pensa di dover raggiungere.

La cura

La dismorfofobia, come si è visto, è un sintomo che può presentarsi in quadri clinici molto diversi. Ne deriva che la terapia deve occuparsi della persona e della sua sofferenza profonda e non solo occuparsi del sintomo separato dalla persona nella sua complessità.

La cura d’elezione è la psicoterapia che può aiutare il paziente a riconoscere i pensieri profondi, le emozioni e gli affetti che sono alla base del sintomo. Il dismorfofobico è chiuso nelle sue preoccupazioni come in una gabbia. La psicoterapia può aiutare il paziente a demolire questa gabbia prendendo contatto con la sua realtà più profonda.

Riuscire a vedere la propria bellezza è impossibile per chi, avendo sperimentato rapporti interumani deludenti, ha negato e annullato la propria e altrui realtà interna e si vede come un insieme scomposto di parti anatomiche scisse tra loro. Solo attraverso la psicoterapia, facendo esperienza di una relazione non deludente, ci si può curare e si può ricreare l’immagine interiore, la sanità originaria, che permette un rapporto reale con il proprio aspetto, con la totalità del proprio essere e del proprio rapporto con gli altri.

 

Bibliografia: De Lisi D., Gebhardt E., Giorgini L., Raballo A., (2017) Dismorfofobia. Quando vedersi brutti è patologia. Ed. L’asino d’oro.