Sede
Via E. Pellini 4, Milano
Chiama
+39 347 975 8030
Orari
Lun - Ven: 9:00 - 20:00

Il processo di incoraggiamento come strumento di cura nella psicoterapia adleriana

La psicoterapia adleriana pone il concetto di coraggio e quindi di incoraggiamento come uno dei punti focali del proprio modo di procedere teorico-pratico, per contrastare lo scoraggiamento del paziente e ogni suo artificio per salvaguardare il proprio rigido ideale di personalità.

 

Chi soffre di un disagio, in un’ottica adleriana, è spesso una persona scoraggiata, una persona con uno scarso senso del proprio valore, che non ha fiducia nella propria possibilità di realizzarsi nella vita, nei principali compiti vitali (amore, amicizia, lavoro) sul lato utile, sul piano della partecipazione sociale, per paura di essere esposto al fallimento. Tutti aspirano al proprio miglioramento, si muovono dal meno al più, ma chi soffre di un disagio psichico vivrà questo movimento in modo rigido e polarizzato partendo da un’idea di scarso valore (non sono all’altezza, accettabile, amabile) e aspirando a un ideale irrealizzabile di sicurezza (non posso fallire).  Egli quindi devierà la propria ricerca di successo sul lato inutile della vita caratterizzato da finzione, evasione e distanza dal mondo.

 

Vediamo un esempio:

Matteo è un uomo di 34 anni in cura per un problema di gioco d’azzardo, egli riconosce che il suo disagio rappresenta per lui un modo di evadere i problemi: “l’illusione di trovare una via facile per risolvere i problemi economici”. Matteo si sta per sposare e sente di doversi fare carico personalmente della sicurezza economica della sua famiglia, senza poter condividere le sue  preoccupazioni con la fidanzata. Paradossalmente, proprio quando la fidanzata viene assunta a tempo indeterminato e si prospetta la possibilità di acquistare una casa e non più andare a vivere in una casa in affitto, questa buona notizia viene vissuta come una destabilizzazione di un equlibrio e Matteo  ha una ricaduta nel gioco.  

 

Il principale strumento di cura della psicoterapia adleriana è l’incoraggiamento, da intendersi come  piena accettazione della persona con le proprie risorse e i propri limiti, come  intervento di valorizzazione personale per incrementare il coraggio, il sentimento sociale del paziente, la sua capacità di stare nel mondo, di agire e operare sul lato utile della vita, in un’ottica di cooperazione e compartecipazione con i propri simili.

 

In campo psicopedagogico Dinkmeyer e Dreikurs descrivono le regole che governano l’incoraggiamento:

  • stimare il bambino com’è
  • dimostrargli fiducia, in modo tale che il bambino possa avere fiducia in se stesso
  • credere nella capacità del bambino, conquistarsi la sua confidenza e al tempo stesso formare gli strumenti al rispetto di se stesso
  • riconoscere un lavoro ben fatto. Elogiare gli sforzi compiuti
  • fare uso del gruppo per facilitare e incrementare la maturazione del bambino
  • integrare il gruppo in modo tale che il bambino sia sicuro nella sua posizione all’interno dello stesso
  • aiutare il bambino a sviluppare le sue capacità seguendolo progressivamente, anche da un punto di vista psicologico, in modo tale da permettergli risultati positivi
  • riconoscere e mettere a fuoco le sue risorse
  • utilizzare gli interessi del bambino per accrescere la sua istruzione

 

Riportando il discorso nell’ambito della psicoterapia adleriana, si può dire che incoraggiare non significa esprimere compiacimento, lodare, ma fornire fiducia, sicurezza. C’è una differenza sottile tra i due atteggiamenti: la lode non fa che rafforzare l’attenzione del soggetto su se stesso, generando spesso insoddisfazione, mentre l’incoraggiamento fa concentrare l’attenzione del soggetto sulle proprie forze, sulla capacità di vivere in mezzo agli altri, fa sentire all’individuo che vale la pena di tentare. Incoraggiare consiste quindi nell’avere stima del soggetto, non però in base ad un modello ideale, per come potrebbe diventare, ma così come è nella sua dignità di individuo.

 

Per poter incoraggiare il terapeuta deve, a sua volta, avere coraggio: mettere da parte la propria ambizione nei confronti del paziente e confrontarsi con il possibile, con il limite e con l’incertezza. Egli non deve proporsi delle mete nei confronti del paziente, ma piuttosto deve affiancarglisi con fiducia perché egli possa scoprire i propri punti di forza e il proprio progetto di vita. Questo atteggiamento coraggioso del terapeuta è garantito dal sentimento sociale che egli avrà potuto sperimentare e collaudare nel corso del suo lavoro di analisi personale e attraverso la continua supervisione del proprio lavoro, garanzia di un costante monitoraggio degli aspetti transferali e controtransferali della relazione terapeutica.

 

Il processo di incoraggiamento si basa dunque sul sentimento sociale del terapeuta: esso consiste nell’offerta di un’atmosfera permissiva e accettante che consenta al paziente di esprimere in piena libertà il proprio stile di vita con la garanzia di essere contenuto e capito. Il terapeuta può capire (dal latino capere = capire, comprendere, contenere) il disagio e la disperazione del paziente se accetta, in quanto contenitore, di assolvere alla funzione di delicato recettore: il paziente nella relazione transferale-controtransferale, infatti, insegna al terapeuta a comprenderlo empaticamente così come è, obbligandolo a soffrire, almeno temporaneamente, del suo stesso deficit del sé, delle sue stesse ferite. Il controtransfert diventa quindi per uno psicoterapeuta adleriano uno strumento diagnostico che funge da contrappunto indispensabile per il contenimento dei vissuti emotivi che si sviluppano nel caotico mondo affettivo dei pazienti.

 

Il sentimento sociale che impregna il processo di incoraggiamento, fa sì che attraverso l’empatia identificatoria il terapeuta possa pensare e sentire se stesso, seppure in maniera attenuata, nella vita interiore di un’altra persona, mettendosi nei suoi panni e provando ciò che egli prova: vedendo con i suoi occhi, ascoltando con le sue orecchie e vibrando con il suo cuore. In ciò risiede la possibilità di capire e di accedere al mondo emozionale dei pazienti. Terapeuta–paziente, contenitore–contenuto, diventano i poli di una relazione che si sviluppa attraverso la messa in scena dei multiformi giochi “come se”, delle recirpoche finzioni difensive. Si sviluppa, così, un rapporto duale di natura creativa, in cui si soddisfa il bisogno di abbracciare ed essere abbracciati, attraverso il racconto che il paziente fa della propria storia e attraverso la costruzione di una nuova storia:  quella della coppia creativa terapeuta–paziente, edificata sulla relazione che si sviluppa all’interno del setting. Il rapporto transferale-controtransferale viene quindi usato, in modo terapeutico, per avviare una nuova esperienza di relazione: un’esperienza emotiva correttiva.

 

Affinché la relazione terapeutica risulti davvero incoraggiante è importante, come si è detto, che il terapeuta sappia controllare i propri bisogni narcisistici e non si prefigga, sotto la spinta del proprio bisogno di gratificazione, di smantellare prematuramente le difese del paziente, senza rispettare tempi, ritmi e bisogni del soggetto. Ciò di cui il paziente ha bisogno spesso è soltanto un viandante, uno sherpa, un buon compagno di viaggio empaticamente presente, sincero e non intrusivo. Lo psicologo deve quindi, innanzitutto, proporsi come compagno di strada, come co-pilota (uso l’espressione di un mio paziente) accompagnare il paziente nel cammino che lo porterà a incontrarsi con la realtà fittizia del proprio immaginario, senza preoccuparsi mai di ottenere il cambiamento, di avere successo. Egli, attraverso l’espressione incondizionata del suo sentimento sociale, deve principalmente avere fiducia nelle potenzialità di crescita insite in ognuno e perseguire l’obiettivo di stimolare la cooperazione del paziente. Il suo scopo, fin dal primo colloquio, deve essere quello di aiutare il paziente ad amarsi e accettarsi così come è, con le proprie risorse e limiti, di aiutarlo a  riconoscere il proprio valore, a di-svelare i propri punti di forza e favorire dunque lo sviluppo di un adeguato sentimento comunitario e di un’adeguata partecipazione sociale.

 

Nella psicoterapia adleriana, attraverso il processo di incoraggiamento, il terapeuta si propone dunque di svolgere tardivamente la funzione materna: egli fa da ponte tra l’individuo e le richieste esterne stimolando l’insorgere delle disposizioni positive del paziente verso l’altro, in modo tale che egli possa trasferirle, in seguito, al proprio ambiente. Quello che il terapeuta deve fare per incoraggiare, in sostanza è trasmettere l’autentico interesse di un uomo per il suo simile poiché nessuna partecipazione è più vera e obiettiva: è vitalmente incoraggiante il sentirsi accolto, conservato nella mente, nei pensieri e nel cuore del terapeuta.

 

Questo non significa però che il terapeuta debba solo gratificare, sedurre il suo paziente, viziarlo per accaparrarsene la simpatia. Per lo psicoterapeuta adleriano la migliore realizzazione dell’incoraggiamento si realizza assumendo, accanto alla funzione materna, una funzione paterna opportuna e complementare.

 

Un processo di incoraggiamento non deve sostenersi solo sulle gratificazioni. Anzi, proprio per la significazione che la psicoterapia adleriana dà al coraggio, non dovranno essere abolite le frustrazioni ritenute positive: cioè quelle che la persona può sopportare in un dato momento. Il terapeuta non deve solo fornire gratificazione e accettazione incondizionata, ma anche frustrazione, confronto con il diverso, tradimento dell’aspettativa idealizzata del paziente. Solo in questo modo saremo, come dice Adler lontani dal pericolo di viziare o trascurare il paziente, ma ancora di più di sedurlo per accaparrare il suo consenso.

 

Il buon terapeuta, come il padre, avverte il bisogno di diminuire per fare crescere, di decidere il momento del distacco-tradimento, condizione fondamentale per assumere la nuova responsabilità del creativo, dell’indistinto e del rischio. Il paziente, come il figlio, per conquistare la fiducia in se stesso, ha bisogno di sperimentare l’abbandono per cercare coraggiosamente la propria strada, rinunciando a quella sicurezza e protezione che gli sembrano dovute e garantite per sempre. In questo modo egli ha la possibilità di fare esperienza di passaggio da un atteggiamento di fiducia primaria, gratuita e infantile a un atteggiamento adulto di fiducia critica e matura verso gli altri, ma soprattutto di vera fiducia verso se stesso.

 

Il processo di incoraggiamento trae la sua completa maturazione con l’agire del terapeuta nella funzione tardiva sia materna che paterna. Come se i due atteggiamenti attuassero un processo ad un tempo conservativo e trasformativo, rendendo dinamico il collaudo del sentimento sociale attraverso il passaggio da un indifferenziato materno a un differenziato paterno.

 

 

Fonti bibliografiche:

Accomazzo R. (1986), Il coraggio nella Psicologia Individuale al di là delle tecniche psicoterapeutiche di incoraggiamento, Rivista di Psicologia Individuale, 24-25

Adler A. (1931), Cosa la vita dovrebbe significare per voi, Newton Compton

Dinkmeyer D.C., Dreykurs R. (1963), Il processo di incoraggiamento, Giunti Barbera

Ferrigno G. (2001), L’analisi e la psicoterapia psicodinamica secondo il modello adleriano, Rivista di Psicologia Individuale n. 49

Ferrigno G. (2009),La risonanza emozionale e il “ritmo” dell’incoraggiamento, Rivista di Psicologia Individuale n.66

Ghidoni C. (2004), La psicoterapia come assunzione tardiva della funzione paterna, XVIII Congr. Naz. SIPI, Bocca di Magra

Maddox C. (1998), Transfert, distorsione paratattica e terapia adleriana, Rivista di Psicologia Individuale n.46

Pagani P.L. (1998), I principi dell’incoraggiamento, in Sanfilippo B. (a cura di), Itinerari Adleriani Ed. Franco Angeli

Pagani P.L., Ferrigno G. (1999), Transfert e cntrotransfert nel setting adleriano, Rivista di Psicologia Individuale n.46

Rovera G.G. (1983), Transmotivazione: proposta per una strategia dell’incoraggiamento, Rivista di Psicologia Individuale n.80