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Workaholism: dipendenza dal lavoro

Tutti abbiamo bisogno di provare gratificazioni e di sentirci riconosciuti in ambito lavorativo e non è raro spendersi oltre misura pur di raggiungere i propri obiettivi. Tutto ciò è normale se l’impegno e la riuscita professionale si accompagnano al mantenimento di una buona qualità di vita.

Quando il lavoro e l’approvazione dei propri superiori diventa l’unica fonte di valorizzazione, quando ci si butta a capofitto nel lavoro senza porsi dei limiti, quando lo zelo professionale conduce a sacrificare la propria vita privata e la propria salute ci troviamo nell’ambito di una vera e propria dipendenza. La dipendenza dal lavoro rientra tra le dipendenze comportamentali, anche dette dipendenze senza sostanze.

Il dipendente dal lavoro fa di tutto per essere apprezzato, dice di sì a tutto, è perfezionista. Egli previene le richieste dei colleghi e della direzione, accumula ore di straordinari, è l’impiegato modello. Egli è super efficiente, investe tutto nel lavoro per riempire il vuoto e la solitudine. Si crede che miri alla sedia del capo o a una promozione, ma quello che conta per lui è la sua inconfessabile ricerca d’amore. Dotato di talento e gran lavoratore, cerca attraverso il successo professionale di provare il suo valore personale. Nel lavoro il dipendente cerca una soluzione alla paura dell’abbandono: la ricerca della perfezione.

“La mia vita personale era vuota e il lavoro era diventato tutta la mia vita. In ufficio mi dicevo che il mio talento e il lavoro duro mi avrebbero garantito un posto al sole. Ho dato tutto, mi sono dedicato anima e corpo al lavoro, ho smesso di contare le ore. Non mi riposavo mai, ogni attività alternativa al lavoro mi sembrava una perdita di tempo. Ci mettevo passione ed energia, ma quando sentivo che c’era freddezza, fuggivo perché avvertivo la tempesta. Un problema, un segnale di insoddisfazione del capo, una bega e mi sentivo profondamente minacciato, fine della felicità per procura. Per conservare il mio accogliente nido di apprezzato professionista, dovevo essere perfetto, non fare errori”.

Un perfezionismo ossessivo

La dipendenza lavorativa si manifesta molto spesso sotto forma di comportamenti ossessivi. Il dipendente ha sete di riconoscimento, dipende dallo sguardo e dall’approvazione degli altri. Dà tutto se stesso al lavoro, si consacra fino a dove lo spinge la sua dipendenza. Continuamente focalizzato sugli altri non riconosce se stesso, il proprio valore, i propri limiti. Avverte un eccessivo bisogno di superare se stesso in continuazione, di provare che esiste, che ha un valore, che merita di essere considerato. Di fatto è a se stesso che cerca di provare il suo valore, servendosi degli altri come uno specchio. Non si sente mai all’altezza, non si sente mai abbastanza, il suo bisogno di riconoscimento è insaziabile.  Dato che consacra tutta la sua vita al lavoro, l’impiego diventa l’unica fonte di valorizzazione. E’ una fonte di valorizzazione fragile, perché non garantisce mai una totale certezza, si deve continuamente conquistare diventando sempre più efficienti, esagerati, ossessivi.

La paura di perdere l’unica fonte di valorizzazione rende il dipendente schiavo del lavoro, ipersensibile ai più piccoli segnali che potrebbero minacciare la sua sicurezza lavorativa, alle minime reazioni del suo ambiente che potrebbero ventilargli la perdita del posto.

Delle gravi conseguenze

Per mesi o anni, tutto può dare l’impressione che le cose funzionino. Il dipendente dal lavoro da principio non si accorge di niente: non è assolutamente in contatto con se stesso e non avverte la spossatezza, il vuoto interiore, l’angoscia e la rabbia che covano in lui. Egli banalizza i segnali che gli indicano di aver fatto troppo, che il suo corpo, eccessivamente intossicato dal lavoro, ne ha abbastanza, che è sull’orlo del baratro. Ad ogni modo non si ascolta mai e non si cura di sé. Quando si stordisce, lavorando eccessivamente, ha l’impressione di avere il controllo. La realtà finisce però con il raggiungerlo e lui rischia di crollare di schianto.

Quando il lavoro non funziona più, si rende conto che niente funziona più perché per il lavoro ha sacrificato tutto: amici, familiari, vita e salute.

Gli effetti della dipendenza da lavoro sulla persona sono spesso insidiosi. Di seguito un elenco delle principali conseguenze:

  • problemi familiari
  • isolamento
  • problemi di salute
  • episodi ansiosi o depressivi
  • burn out

Dalla dipendenza all’autonomia

Sul lavoro portiamo con noi i nostri talenti e le nostre competenze, ma anche quell’universale retaggio che è la paura del rifiuto, del fallimento e del tradimento. Qualunque sia la strada percorsa è però possibile abituarsi diversamente. Possiamo ricollocare noi stessi in cima alla lista delle priorità, imparare ad accettare di fare degli errori, a farci rispettare: stare bene in un ambiente di lavoro sano è possibile.

Spesso la cosa più difficile è accettare di stare bene adesso, non tra un’ora, una settimana, un anno: qui e ora apprezzare la propria vita.

Il lavoro non deve essere per forza ufficiale, cerebrale, serio, magistrale, importante, imponente: è soltanto un lavoro, un modo per rendersi utili e guadagnarsi da vivere. Se ci rimettiamo la vita e la salute non guadagniamo nulla.

Per passare dalla dipendenza dal lavoro all’autonomia è necessario riconoscere che il nostro modo di funzionare sul lavoro è dovuto alla nostra insaziabile mancanza di amore e autostima. Una volta effettuata questa presa di coscienza è possibile lavorarci su allo scopo di sperimentare un modo diverso di vivere il lavoro. Quali che siano le difficoltà che alimentano la dipendenza lavorativa (mancanza di autostima, paura del fallimento, paura di non essere amati) lavorare su questi aspetti permette di migliorare la propria stima di sé e distaccarsi dallo sguardo altrui per sentirsi più liberi di agire e decidere.